“…Dietro la solita curva, c'era il suo paese, o meglio c'era stato fino al
giorno prima, ma se avrete pazienza, vi spiegherò come sono andati i fatti”.
«Ti prego, non ce la faccio più. Aiutami a
morire.»
E
Francesco aveva esaudito il desiderio della moglie dopo averla stordita con una
massiccia dose di tranquillanti. Erano stati cinque lunghi anni di sofferenza e
le cure necessarie, per arginare il tumore che
la stava devastando, avevano prodotto delle alterazioni gravi nel fisico
ormai debilitato della donna. Le urla lancinanti di Viola, affondavano
nell'anima dell'uomo come fredde lame chirurgiche.
L'ennesima crisi che aveva
sconvolto lui nel cuore, e lei nel corpo, aveva accelerato la decisione di
liberare la moglie dalla inumana sofferenza alla quale era sottoposta.
Il
grande amore, che nutriva per lei, lo aveva portato ad estremizzare la sua
decisione. Messo da parte ogni problema di ordine morale aveva agito e per la
legge era diventato un assassino. Dopo l'accaduto, chiamata la polizia, aveva
atteso l'arrivo degli uomini seduto in cucina mentre, con la mente sconvolta,
vagava nel mondo dei ricordi.
Durante la perquisizione di rito gli uomini della
scientifica rinvennero, un foglio con le ultime volontà della donna. Viola
aveva scritto con mano malferma, poche righe risalenti a circa sei mesi prima;
“Amica l'acqua e mio compagno il vento”, desiderava essere sepolta
sottoterra, come un seme, per dare ulteriori frutti con il ricordo della sua sofferenza,
ed il poliziotto si era commosso mentre catalogava il reperto.
Il suo desiderio
venne esaudito. Seguì il processo ed i giudici, nell'emettere la sentenza,
tennero conto che l'uomo avrebbe pagato già abbastanza per il resto dei suoi
giorni devastato dai rimorsi e dai rimpianti.
Aveva tolto la vita alla propria moglie per non farla soffrire ulteriormente, per non vederla appassire, giorno per giorno come un fiore reciso.
Aveva tolto la vita alla propria moglie per non farla soffrire ulteriormente, per non vederla appassire, giorno per giorno come un fiore reciso.
Gli anni della detenzione trascorsero lunghi e
pesanti ma, come Dio volle, arrivò il giorno tanto atteso del ritorno a casa.
Quella mattina uscì dal carcere di buon'ora, era stato un detenuto modello ed aveva usufruito di uno sconto di pena per l'età avanzata. Andò a casa, in paese, e trascorse la giornata riguardando le foto e gli oggetti che erano appartenuti alla moglie.
Quella mattina uscì dal carcere di buon'ora, era stato un detenuto modello ed aveva usufruito di uno sconto di pena per l'età avanzata. Andò a casa, in paese, e trascorse la giornata riguardando le foto e gli oggetti che erano appartenuti alla moglie.
Era tornato, dopo un intenso travaglio interiore, a Succiano, il
suo paese d'origine, forse lì avrebbe ritrovato la serenità perduta. La gente
del posto, cosciente che il gesto da lui compiuto era stato dettato dal grande
amore per la moglie, lo aveva riaccolto tacitamente senza chiedergli nulla.
Gli
eventi della giornata lo avevano affaticato, si distese sul letto e chiuse gli
occhi addentrandosi in un mondo di quiete. Si svegliò all'alba circondato da un
silenzio innaturale, i cani del paese non abbaiavano ed era un fatto insolito
mai successo a memoria d'uomo. Francesco ricordò con nostalgia come spesso
Viola, si lamentasse perché non riusciva a riposare a causa dell' incessante
latrare degli animali.
Decise di andare al cimitero, fece colazione e si mise in
cammino. L'aria calda e polverosa di quella strana giornata gli impediva di
godere, mentre camminava, delle fragranze aromatiche della campagna che da
sempre lo avevano stordito con la loro intensità. In lontananza l'Abbazia dei
Monaci di Goriano, possente e inquietante sentinella di eventi trascorsi e di
accadimenti incombenti, si stagliava sul crinale della montagna. Si avvicinò al
tumulo di terra, e la commozione lo prese.
Era la prima volta che vedeva la
tomba e malgrado fossero trascorsi sette lunghi anni dal drammatico evento,
non riusciva ancora a dimenticare
la lunga agonia di Viola. La rivedeva, distrutta dal
male, chiedere pietà al Creatore perché mettesse fine alle sue sofferenze. E
lui era divenuto il braccio violento di
un Dio
pietoso.
La terra del cimitero, e delle campagne circostanti, era arida
e dura come pietra perché non pioveva da mesi. Il sole, in altri tempi
portatore di vita, minacciosamente allungava i suoi tentacoli canicolari come
una piovra mostruosa su una preda inerme. Fu preso dai ricordi mentre
contemplava l'immagine sbiadita della moglie, fissata sulla porcellana
arroventata dall’aria calda.
Riandò indietro con la memoria ripensando stranamente alla propria madre.
L'anziana donna, guardando in televisione le imprese dei primi astronauti,
credeva che l'uomo stesse sfidando l'Onnipotente e diceva «Quando l'uomo
arriverà sulla Luna finirà il mondo». Francesco sorridendo la prendeva in giro e lei, cosciente di oscuri
presagi, accettava lo scherzo pensosa. Grandi cambiamenti erano in corso e
l'umanità si avviava con passi da gigante, verso un futuro esasperato dal
materialismo tecnologico.
Poi la madre morì, Francesco e Viola decisero di
stabilirsi definitivamente nel paese natio.
La vita nella città in cui vivevano
era divenuta intollerabile poi sopravvenne la malattia di Viola e la donna fu costretta, ogni venti giorni, a
recarsi nell'unico ospedale fornito dell'apparecchio per la cobaltoterapia, ad
ottanta chilometri di distanza.
Preso dalla malinconia, l'uomo contemplò pensoso
l’orizzonte. Da tempo, Succiano non aveva più la chiesa chiusa dalla Curia per
mancanza di sacerdoti, sembrava che gli abitanti rifiutassero la presenza del Signore
e prevaleva l’aspetto consumistico della vita. Il vecchio parroco, era andato
via senza un saluto dopo aver celebrato l'ultima messa in solitudine.
Strani
pensieri cominciarono ad affollare la mente di Francesco, riviveva lucidamente
il giorno della prima comunione, drammatica si presentò l'immagine del Parroco
che, agitando le braccia in modo quasi convulso, tuonava dal pulpito verso i bambini: «Adesso che siete soldati di Dio, non dovrete mai tradirlo, guai a non
pagarlo con la moneta che Lui pretende, la preghiera!».
Nella sua mente
fece capolino la dolce immagine della nonna che lo accompagnava in chiesa al
catechismo e si rivedeva, sotto le
grandi volte della navata, mentre guardava timoroso la suora catechista
che gli chiedeva «Chi è Dio?» e lui
rispondeva «Dio è l'essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della
terra». Cercava di capire, con la sua testa di bambino, quanto potesse essere grande Dio è se fosse
proprietario di tutto il mondo.
L'Onnipotente
Padreterno della sua infanzia, tumultuoso e vendicatore, colui che pretendeva
grandi rinunce e grandi prove di fede.
Con un cenno annientava intere popolazioni, così gli era stato detto, e lui ci credeva. Oggi però
non era tempo di rinunce, la gente della vallata era tesa verso il
consumismo più sfrenato e le antenne paraboliche svettavano sui tetti delle
case come orecchie protese ad ascoltare tutto il brusio del genere umano.
Le
auto fuoristrada, belle e superbe nelle loro sfrontate colorazioni
metallizzate, facevano la guardia davanti alle case. Erano idoli pagani di un
apparente benessere. L'uomo, nel silenzio che lo opprimeva, prese atto con se
stesso che aveva molti debiti nei confronti dei suoi simili e verso il
Creatore. Raramente pregava e quelle poche volte che lo faceva, ricattava Dio
con qualche preghiera per tacitare la propria coscienza. Intanto la terra e l'aria divenivano sempre più roventi,
il vento aggressivo ed il silenzio insopportabile. Tormentato dai rimorsi, che
lo travolgevano prepotentemente, era spaventato.
La presenza tangibile dei
morti che lo circondavano, era per lui un segno premonitore. In carcere,
spesso, aveva chiamato a raccolta le
anime dei suoi cari per avere un conforto, un segno, ma inutilmente.
Sfiorò la
foto di Viola con le dita e decise di
tornare a casa, si era fatto tardi. Mentre si avviava si accorse, trasalendo di paura, che un essere gigantesco
e taciturno osservava compiaciuto il paese che incredibilmente si stava
dissolvendo nel nulla. Immerso nei suoi pensieri non si era accorto che,
durante il muto colloquio con le ombre dei suoi cari, erano scomparse le
montagne, i prati, gli alberi, l'orizzonte, la gente ed i profumi della campagna.
Era rimasto solo, circondato dal vento che
ripuliva tutto, come l'avvoltoio la carcassa della preda, disseccando anche i
pensieri e le paure che cominciavano ad affollare la sua mente sconvolta. In
quel preciso momento, fu consapevole che era diventato l'ultimo uomo di Succiano,
forse del mondo intero.
Era terrorizzato. Francesco si avvicinò verso l'immane
figura, che con un grosso libro in mano spuntava lunghissime file di nomi, e gli
domandò chi fosse e
cosa stesse facendo. «Sono l'Esecutore» rispose l'essere mentre,
controllando una pagina del libro, gli chiese se avesse estinto il debito
contratto da bambino. In preda al panico, prigioniero di paure ancestrali, Francesco pensò e ripensò
alle età trascorse ma non ricordava di aver contratto nessun impegno.
L'unico
debito, la soppressione della moglie, lo aveva pagato in carcere. E nel
frattempo, intorno a lui, tutto cambiava. Improvvisamente gli sembrò di
precipitare dentro un pozzo, profondo e buio, dove ogni cosa si annullava e tutto veniva ingoiato in un caos
senza tempo. Pianti dirotti e amori eterni mai dimenticati vagavano in un
universo impossibile.
Le ultime case del paese e l'Abbazia dei Monaci di Goriano stavano scomparendo, dissolte nella più cupa oscurità, e l'ultimo bagliore di luce cercava disperatamente di uscire fuori dal buio come il figlio dal ventre della madre nel momento della nascita.
Le ultime case del paese e l'Abbazia dei Monaci di Goriano stavano scomparendo, dissolte nella più cupa oscurità, e l'ultimo bagliore di luce cercava disperatamente di uscire fuori dal buio come il figlio dal ventre della madre nel momento della nascita.
«Siamo tornati a riprenderci
ciò che vi è stato dato», disse l'Esecutore con voce profonda, «siamo in
tanti sparsi per il mondo ed oggi è scaduto il vostro tempo.
All'origine venimmo sulla terra portandovi la vita e le bellezze dell'universo, ma da tempo il nostro Signore non viene saldato di quanto dovuto per contratto, le vostre preghiere.
Non avete onorato l' impegno preso nel giorno dei Sacramenti è quindi ci riprendiamo tutto, lo trasferiremo altrove, in altre galassie dove siamo attesi».
All'origine venimmo sulla terra portandovi la vita e le bellezze dell'universo, ma da tempo il nostro Signore non viene saldato di quanto dovuto per contratto, le vostre preghiere.
Non avete onorato l' impegno preso nel giorno dei Sacramenti è quindi ci riprendiamo tutto, lo trasferiremo altrove, in altre galassie dove siamo attesi».
Nei ricordi di Francesco cominciarono
a balenare le immagini, di coloro che
non aveva saputo amare e di coloro che aveva tradito.
Vide la moglie che
lo guardava, con i suoi dolci occhi innamorati, ed impazzì.
Baratri giganteschi si aprirono nella sua mente e dal più profondo dei recessi, un urlo alieno impregnò tutto il suo essere schiacciandolo sotto il peso di tutte le colpe del genere umano.
Baratri giganteschi si aprirono nella sua mente e dal più profondo dei recessi, un urlo alieno impregnò tutto il suo essere schiacciandolo sotto il peso di tutte le colpe del genere umano.
Una tremenda
esplosione di forza frantumò la visione, in miliardi di schegge aguzze e
taglienti che selvaggiamente si accanirono contro la sua anima ferendola.
Fu in quel momento, per la prima volta dopo anni, che desiderò pregare subito freneticamente, intensamente come se fosse in crisi di astinenza.
Fu in quel momento, per la prima volta dopo anni, che desiderò pregare subito freneticamente, intensamente come se fosse in crisi di astinenza.
Gli Esecutori
esigevano il pagamento e l'epilogo si svolgeva
in un piccolo borgo, sconosciuto. Il Creatore si riprendeva ciò che aveva dato,
l'aria, il sole, la vita. Impotente, lui non poteva fare nulla. Mentre non
rimaneva che accettare il compiersi degli eventi, visioni di mondi nuovi e di
vite possibili apparivano per l'ultima volta nella mente perduta di Francesco
che assisteva stupito alla fine del mondo. Non era come l'aveva immaginata,
nella sua mente di bambino, mentre guardava le illustrazioni sui libri di
scuola.
Non c'erano i quattro cavalieri dell'Apocalisse che galoppavano nel
cielo ardente di fuoco e annerito dal fumo.
Non c'era Dio, con la barba fluente
ed il volto pensoso, seduto sul trono a giudicare i vivi e i morti. Tutto era
semplicemente scomparso e rimandato al mittente. Non esisteva più niente ed un'
indescrivibile senso di tristezza, affiorando dal profondo dell'anima, gli
fece recitare dopo tanto tempo la preghiera più bella del mondo: «Padre Nostro che sei nei cieli sia
santificato il tuo nome…» e sprofondò nel caos di una
ignota dimensione.
Tra le ancestrali paure, reali ed immaginarie, che si
materializzavano nella sua mente sconvolta, si fece largo una minuscola figura
di bambina che raccolse la preghiera appena recitata e spargendola nel caos
supremo, seminò in un campo che sarebbe tornato fertile a rifiorire.
«Non sono solo», pensò Francesco, «è mia compagna la speranza».
«Non sono solo», pensò Francesco, «è mia compagna la speranza».
E' un racconto che prende per verità e per la sua attualità,Cconcetto.
RispondiEliminaTutto si paga ed è giusto che sia così, anche se il peccato (sempre che si possa chiamare chiamare peccato quello che si fa per profondità d'amore) ha, col prezzo dovuto alle leggi degli uomini,una gioia segreta e,fissata negli occhi.
Personalmente avrei fatto la stessa cosa che ha fatto il tuo protagonista.Consapevole della sua giustezza, dolorosa quanto tormentata.
Mirka