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Visualizzazione dei post da dicembre, 2015

Il pettirosso

“La nebbia è come la vita, non sai mai cosa ti aspetta al di la di un certo punto. Ciao Matteo” «I pettirossi non smettono mai di cantare, anche quando fuori c’è il gelo, anche quando qualche animale gli distrugge il nido e perdono i piccoli. Il loro canto non si ferma mai, mai davanti alle difficoltà, mai davanti a nulla, mai davanti alla prova più dura della vita che, fortunatamente, procede con il suo corso anche quando ci sembra che tutto sia finito. E allora, quando ti sembra che non ci sia una soluzione per nulla, quando ti senti davvero a terra, affacciati alla finestra e spegni i rumori di sottofondo, vedrai che ovunque sei, li sentirai i pettirossi.»  Matteo era un pettirosso, un uccellino che si è fermato per sempre a Verdello, un piccolo paesino del bergamasco nebbioso ed ha lasciato una scia di sole che permane nel cielo come una ferita luminosa. Si dice che i pettirossi debbano il loro nome al fatto che uno di loro tolse con il beccuccio una spina dalla corona

TORRE 5

E domani saremo anche noi nella “Torre 5”, il luogo del silenzio, dove è prigioniero ed immobile Matteo, mentre i guardiani brulicano intorno a lui collegando fili e computer con sacchetti di linfa vitale che danno nutrimento al dormiente. La “Torre 5” ha lunghi corridoi asettici e silenziosi, si può camminare per duecento metri di dolore mentre risuonano lungo le pareti i lamenti dei cari in attesa delle notizie che arrivano solitarie e lente come una goccia d’acqua ormai prigioniera della sete.  Nella “Torre 5” vi è una sala gigantesca con giacigli tecnologici che tengono in vita esseri umani perduti nel dedalo di una foresta incantata che cercano disperatamente di trovare la via del ritorno alla vita. Lanciano segnali lacrimosi a volte o sussulti repentini che inducono all’illusione di un risveglio a lungo atteso. Ma poi è silenzio. Mentre noi aspettiamo sulla “Torre 5” scrutando l’orizzonte bugiardo. Penso... Alla Torre 5, la torre del silenzio, con i suoi lunghi

Il silenzio delle stelle

Sono spente le stelle stasera, non vogliono guardare, per loro è pesante assistere al costante affievolirsi dei sensi di un ragazzo di vent’anni che aveva chiesto alla vita di attraversare il tempo della sua esistenza nel modo migliore per portare gioia e allegria a tutti coloro che lo incontravano. Le stelle vigliacche stasera  girano il loro fulgore dall’altra parte, per non vedere il pianto di occhi stanchi e asciugati dal sonno impervio e tumultuoso senza sogni. Cadono le stelle vergognose, preferiscono attraversare l’atmosfera per bruciare come brucia la fronte del ragazzo dormiente e senza futuro, loro non sopportano l’ingiusto spettacolo di una vita che lentamente sta attraversando il perfido confine di un indesiderato mondo parallelo e oscuro. Vi siete mai chieste, stelle bellissime, cosa provoca nell’universo il dolore di una madre, di un padre mentre guardano impotenti il loro figlio spento? Vi siete mai chieste, stelle pulsanti, come sarete voi quando la vostra ener

Le voci lontane

I tuoi occhi nell’infinito, fissi, lì, il tuo sguardo immobile.  Trepida la vana attesa e grida agli dei impietosi con la speranza del levarsi del sole, del ritorno alla luce. Corri nel buio di una eclissi, disperso nel brusio di voci lontane che chiamano il tuo nome, mentre cerchi la via giusta del ritorno. Nel tuo silenzio c’è un frastuono che si annoda forte in gola.  Presto sarà Natale, un Natale diverso da vivere e mi domando dove sei, in quale dimensione ignota ti trovi.  C’è smania nella tua immobilità, nei tuoi movimenti impercettibili controllati da gelidi computer che girano in tondo alla rinfusa cercando informazioni da coordinare.  Nell’angolo della stanza tecnologica c’è un albero spoglio, addobbato con un significato da capire, un senso da dare, un cuore da amare, una magia da creare, un Credo da recitare.  Brucia veloce il tempo del Natale in questa notte, si regalano istantanee da incorniciare ai ricordi, attimi custoditi nei meandri della memoria, impressi sul

Miracolo di Natale

Questo è il periodo di uscita dei film natalizi, specialmente di produzione americana, dove anche le tragedie più tristi alla fine si risolvono con un “Miracolo di Natale”. Film surreali che toccano i punti deboli emozionali degli spettatori che con una lacrimuccia ed un sospiro tornano contenti a casa. E poi ci sono i “non miracoli di Natale”, dove le tragedie più pesanti non si risolvono e cupa scende una coltre di cielo senza stelle e penso a mio nipote Matteo immerso in un sonno senza tempo e senza limiti di spazio che vaga sperso nel nulla di un ansimo metallico del meccanismo che lo tiene in vita. La vita reale è un regista senz’anima, non ammette scene da ripetere, “buona la prima” e cosi come ti trovi stai, senza miracoli, attorniato dalla sofferenza dei cari che non si danno pace.  Attorno a te si svolgono danze interiori di religiosità quasi pagana, si chiamano a raccolta gli avi affinché ti aiutino nel risveglio ma sono sordi al richiamo di genitori disperati.

Voglio tornare a casa

Mi chiamo Lucia, sono nata a Siracusa fra il 280 e il 290 d.C. e vi scrivo da una città chiamata Venezia, una città che non è la mia, lontana dalla mia terra e mi sento sola. La mia famiglia era nobile, molto ricca è tra le più importanti della città di Siracusa, mia madre si chiamava Eutichia ma di mio padre non so dirvi nulla. La mia casa era nel quartiere che adesso porta il mio nome e li si trova anche la colonna del mio martirio. Ero felice a Siracusa e da piccola giocavo con tutte le mie amiche come tutti i bambini del mondo ignara di quello che mi sarebbe accaduto da grande, essere martirizzata e portata via dalla mia terra.  Sono stata felice da bambina e non mi mancava nulla sotto il punto di vista economico ma soprattutto avevo un dono prezioso nel mio piccolo cuore, la fede in Cristo. Poi sono cominciati i problemi a causa delle persecuzioni e io e mamma abbiamo dovuto professare di nascosto la religione cristiana mentre venivo promessa in sposa ad un giovane contro i