“La nebbia è come la vita, non sai mai cosa ti
aspetta al di la di un certo punto. Ciao Matteo”
«I pettirossi non smettono mai di cantare,
anche quando fuori c’è il gelo, anche quando qualche animale gli distrugge il
nido e perdono i piccoli. Il loro canto non si ferma mai, mai davanti alle
difficoltà, mai davanti a nulla, mai davanti alla prova più dura della vita che,
fortunatamente, procede con il suo corso anche quando ci sembra che tutto sia
finito. E allora, quando ti sembra che non ci sia una soluzione per nulla,
quando ti senti davvero a terra, affacciati alla finestra e spegni i rumori di
sottofondo, vedrai che ovunque sei, li sentirai i pettirossi.»
Matteo era un pettirosso, un uccellino che si è fermato per sempre a Verdello, un piccolo paesino del bergamasco nebbioso ed ha lasciato una scia di sole che permane nel cielo come una ferita luminosa. Si dice che i pettirossi debbano il loro nome al fatto che uno di loro tolse con il beccuccio una spina dalla corona che cingeva la testa di Cristo e fu per questo che il petto gli diventò rosso per uno schizzo di sangue.
Matteo con la sua esistenza innocente fatta di sofferenza continua che lui riusciva a tramutare in vita vissuta pienamente e gioiosa ha seminato su un campo molto infido ed impervio, il campo del genere umano, ed è riuscito a trasformare cuori di pietra in terra fertile. La sua vita è stata breve, troppo breve, ma osservandolo disteso sul suo letto di spine che gli martoriavano la carne mi sono sentito impreparato e quasi senza forze innanzi alla sua grandezza. I pettirossi bussano ai vetri delle finestre, quando fa freddo, per ripararsi e chiedere cibo.
Lui ha bussato ai vetri della vita per ottenere del tempo che non gli è stato concesso, ha svolazzato nel mondo ripetutamente, ha cantato le sue canzoni ma la nebbia lo ha portato via. Ho guardato questo uccellino nel suo letto di dolore ed aveva le sembianze di un uomo sofferente con il volto scavato e la barba, malamente distribuita nelle guance, quasi ispida che profilava lame taglienti di dolore non espresso nel silenzio di una morte apparente.
Voci lontane lo chiamavano ripetutamente, selvaggiamente, accoratamente ma il silenzio era la risposta del pettirosso, lui non volava più da un tempo nascosto a chi gli stava intorno ad accudirlo, lui non era più cosa nostra, era dell’universo.
Giorni pesanti e neri sono arrivati e il pettirosso ha ceduto le armi con onore facendo muro fino all’ultimo istante alla morte, ma ha perso il duello. La morte ha avuto il sopravvento ed in un ultimo cenno di pietà ha reso l’onore delle armi al pettirosso cambiando le sue sembianze ed ora, mentre dorme quieto nel sonno eterno, ha il volto del bambino il pettirosso, le guance colorate e la bocca socchiusa in un ultimo saluto ai suoi cari che lo hanno tanto amato e al mondo intero.
Ciao pettirosso, vola alto adesso e vai a togliere le spine a chi soffre e soffrirà per sempre per la tua mancanza.
Matteo era un pettirosso, un uccellino che si è fermato per sempre a Verdello, un piccolo paesino del bergamasco nebbioso ed ha lasciato una scia di sole che permane nel cielo come una ferita luminosa. Si dice che i pettirossi debbano il loro nome al fatto che uno di loro tolse con il beccuccio una spina dalla corona che cingeva la testa di Cristo e fu per questo che il petto gli diventò rosso per uno schizzo di sangue.
Matteo con la sua esistenza innocente fatta di sofferenza continua che lui riusciva a tramutare in vita vissuta pienamente e gioiosa ha seminato su un campo molto infido ed impervio, il campo del genere umano, ed è riuscito a trasformare cuori di pietra in terra fertile. La sua vita è stata breve, troppo breve, ma osservandolo disteso sul suo letto di spine che gli martoriavano la carne mi sono sentito impreparato e quasi senza forze innanzi alla sua grandezza. I pettirossi bussano ai vetri delle finestre, quando fa freddo, per ripararsi e chiedere cibo.
Lui ha bussato ai vetri della vita per ottenere del tempo che non gli è stato concesso, ha svolazzato nel mondo ripetutamente, ha cantato le sue canzoni ma la nebbia lo ha portato via. Ho guardato questo uccellino nel suo letto di dolore ed aveva le sembianze di un uomo sofferente con il volto scavato e la barba, malamente distribuita nelle guance, quasi ispida che profilava lame taglienti di dolore non espresso nel silenzio di una morte apparente.
Voci lontane lo chiamavano ripetutamente, selvaggiamente, accoratamente ma il silenzio era la risposta del pettirosso, lui non volava più da un tempo nascosto a chi gli stava intorno ad accudirlo, lui non era più cosa nostra, era dell’universo.
Giorni pesanti e neri sono arrivati e il pettirosso ha ceduto le armi con onore facendo muro fino all’ultimo istante alla morte, ma ha perso il duello. La morte ha avuto il sopravvento ed in un ultimo cenno di pietà ha reso l’onore delle armi al pettirosso cambiando le sue sembianze ed ora, mentre dorme quieto nel sonno eterno, ha il volto del bambino il pettirosso, le guance colorate e la bocca socchiusa in un ultimo saluto ai suoi cari che lo hanno tanto amato e al mondo intero.
Ciao pettirosso, vola alto adesso e vai a togliere le spine a chi soffre e soffrirà per sempre per la tua mancanza.
Commossa ringrazio per queste tue parole degne di una perenne fioritura e al di là di ogni mortale soffrire. Mirka
RispondiEliminaGrazie a te di avere apprezzato il mio povero scritto dedicato al nipote...
RispondiEliminaMatteo, nella sua breve vita ha lasciato in tutti noi un segno incancellabile.. il segno della purezza, perchè lui era, ed è, un "PURO".
RispondiEliminaMi rattrista il pensiero di non vederlo e sentirlo, ma forse questo non era un mondo adatto a lui...anima santa!!!
Lo zio Concetto in questo racconto ci ha commosso profondamente. Ciao Matteo un bacio da Cettina.