La
osservo mentre stancamente si mostra al mondo intero dopo essere stata violata,
con grande difficoltà cerca di riprendersi e il mio sguardo scivola lentamente sui
lineamenti delle sue architetture e sul suo volto che ha visto il passare dei
secoli, immutabili specchi della sua storia.
Mi trovo innanzi ad una città a
cui è dovuto un tale riguardo da spingere subito al galoppo i miei pensieri,
qui ho fatto il servizio militare, qui ho portato poi i miei figli a
passeggiare per godere di scorci architettonici unici e simili, se non più
belli, a quelli di Firenze.
In Lei traspare prepotente, se pur tristemente nella
sua incerta e quasi non voluta ricostruzione, una velata malinconia, quasi una
meditazione sulla precarietà delle parole spese dai “grandi” della terra mentre
facevano promesse poi non mantenute per ricostruire la sua vita.
L’Aquila dorme
triste su un letto di promesse e mentre la guardo immagino, una persona dai
capelli grigi e dal viso segnato dalla fatica, una persona che osserva
impotente la sua decadenza mentre ricorda con rimpianto com’era nel pieno della
sua giovinezza.
Ho camminato lungo le sue strade qualche giorno fa ed il
silenzio e la solitudine mi hanno accompagnato facendomi riflettere su una
condizione di vita disumana, non voluta però accettata.
L’Aquila forse a me
darà la vita avendo io usufruito di un macchinario avanzatissimo, unico in
Italia, che ha esplorato il mio cuore mentre lei vive una sconfortante angoscia
a causa di un futuro incerto.
L’Aquila ormai è diventata un enorme palcoscenico
mediatico dove a turno si esibiscono artisti e politici “che la salveranno” ma
in fondo io vedo solo una certa innaturale noncuranza.
La storia di una città
come l’Aquila è una reale illimitata ricchezza, da tentare di carpire e di
capire ma che è rifiutata proprio da tanti presuntuosi saputelli che vivono di
chiacchiere.
Onore ad una città che è stata violata nel fisico, nel cuore e
nell’anima di tutti i suoi abitanti e onore a tutto il territorio aquilano che
onestamente vive oggi un anniversario, il terzo, di ignobile immobilismo.
Nessuno
è mai riuscito a descrivere la solitudine meglio del poeta siciliano Salvatore
Quasimodo. Nel 1942 scrisse in pochi immortali versi che “Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio
di sole. Ed è subito sera”.
Tali
versi penso si possano trasferire sulla storia aquilana di questi tempi.
Gran bel pezzo, complimenti a te.
RispondiEliminaAndrea