Alle
11.20 del 25 dicembre 2016, giorno Natale del Signore, cadrà il primo anniversario della
scomparsa di mio nipote Matteo, per lui giorno mortale.
Come ha
scritto Voltaire: ”La specie umana è la sola che sa di dover morire, e lo sa
soltanto attraverso l’esperienza”
Io
non lo so come si muore, la morte l’ho solo sfiorata qualche volta nella mia
vita, l’ho incontrata invece osservando la morte degli altri mentre si vive come se non si dovesse morire mai. Il Natale scorso ho avuto il privilegio,
insieme a mia moglie Pia, di accompagnare mio nipote Matteo negli ultimi
istanti della sua vita facendo compagnia a mia sorella Lucia, la madre, e mio
cognato Filippo, il padre. Nel preciso momento in cui si sono fermate le
macchine che tenevano in vita mio nipote da 38 giorni sospeso in una pseudo vita, è sembrato
che si fermasse il mondo intero intorno a noi.
Era Natale come un giorno qualunque in
cui si muore e si nasce nella vita reale.
Il
viso pietrificato di mia sorella, immobile e terreo, le carezze del padre sul
viso del figlio, le mie mani e quelle di Pia sul petto immobile di Matteo, un
frate che recitava preghiere consolatorie, le infermiere ed i medici commossi,
sembravano surreali figure di un perfido presepe.
La battaglia era perduta, la
scienza aveva fallito, la preghiera non era servita a nulla.
Era Natale e la nebbia della pianura
padana discretamente nascondeva il nostro dolore.
Ciao
Matteo.
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