Il pomeriggio di un giorno qualunque, di un mese
qualunque, di un anno qualunque, nella
mia terra, la Sicilia.
Tre età camminavano sul bordo di un dirupo che
precipitava senza possibilità di salvezza, verso l'ignoto.
I tre, immersi nell'aria trasparente come la sfera di
cristallo di un indovino imbroglione, percorrevano antichi sentieri tracciati dai
loro millenari antenati.
Tre mondi diversi, collegati dall'amore per la loro isola e dalle comuni
antiche origini, dialogavano senza alcuna interconnessione computerizzata
mentre raccoglievano antiche tracce di storia, ormai dimenticata.
L'orbita vuota di
un arcaico pozzo, di origine greca, li guardava dal profondo delle sue
viscere che nascondevano il cadavere di un uomo inconsapevole testimone di vicende
che non lo riguardavano. I tre, curiosi, ricambiarono lo sguardo interrogandosi
sulle necessità della gente che aveva utilizzato quell'antico manufatto e si
avvicinarono.
Intravidero, inorriditi, il viso devastato da una
scarica di lupara di un essere ormai perduto nel nulla. Scesero ed
accarezzarono con mano pietosa i poveri resti
percependo, nel profondo della loro anima, il terrore dell'attimo che precede una morte
ingiusta.
La storia di una vittima della lupara bianca, era
stata raccontata in modo troppo breve. Fu l'età più antica che si accorse, volgendo
lo sguardo smarrito verso il cielo, dell'arcobaleno nitido nella sua colorata
evanescenza.
Sembrava un etereo ponte che collegava il cielo alle
rocce calcinate dal sole e frustate da millenni di vento, a volte sensuale, a
volte violento come uno stupro.
Ognuno pensò in silenzio che ancora una volta, la
storia della propria terra era stata umiliata.
Una ribellione interiore li unì.
Tre detonazioni annullarono quei pensieri per sempre,
era vietato pensare.
Era vietato interrogarsi sul
perchè di certi accadimenti.
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