Sono un amante dell’arte e
della pittura e fino ad oggi pensavo che Munch avesse realizzato la massima
espressione per quanto riguarda la raffigurazione della disperazione umana ma
nel pomeriggio, freddo e ventoso di qualche giorno addietro, sono uscito per
andare in centro e comprare un libro.
Ha cominciato a piovere e la
temperatura è scesa ancora di più e mentre camminavo gli occhi mi sono andati
verso lui, “l’Urlo”, che assorto in chissà quali pensieri, senza badare alla
pioggia che inzuppava i suoi miseri vestiti, recuperati chissà dove, camminava
avvolto nella coperta dell’indifferenza guardandosi intorno, alla ricerca di
chissà cosa. I suoi piedi erano protetti da
un paio di zoccoli di legno, si guarda ancora intorno e poi comincia a
rovistare in un contenitore metallico dell’immondizia alla ricerca di miseri
avanzi da mangiare.
Vedo che trova qualcosa che mette in bocca e comincia a
masticare, poi rivolto al cielo lancia un urlo che mi fa stringere il cuore
mentre la gente lo guarda, poi prosegue, tutto bagnato, alla ricerca di qualche
altro cestino di rifiuti.
A quel punto lo seguo per
vedere dove va e se posso dargli qualcosa, si ferma all’incrocio di una strada
molto trafficata, indeciso, si guarda intorno, la gente incurante si affolla e
lo perdo di vista, diventa di nuovo invisibile tra centinaia di visibili che
non lo vedono.
Come satelliti di un pianeta
indifferente viaggiamo, uomini senza meta e senza requie, verso il buio di una
“non esistenza” vicino a noi, astronauti distratti incapaci di
scoprire il dolore umano.
L’uomo viaggia nello spazio
profondo, nel profondo degli abissi marini e nel profondo della materia tramite
strumenti raffinati, ma non è capace di viaggiare nel buio dello sguardo di
un bambino affamato o di un uomo solo che, per affermare la sua presenza, URLA,
forse perché ha paura di scoprire di non essere figlio di un Dio giusto.
Io intanto quell’uomo solo non
lo trovo più, l’ho perso, e con lui si perde un pezzo della mia coscienza.
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